La conquista partigiana della Camera del Lavoro

Il palazzo di Porta Vittoria 43, attuale sede della Camera del Lavoro di Milano, fu per più di 10 anni la dimora dei Sindacati Fascisti dell'Industria. Costruito negli anni Trenta del Novecento su progetto degli architetti Angelo Bordoni, Luigi Maria Caneva e Antonio Carminati, era stato voluto da Mussolini come simbolo della potenza del regime. In verità, il sindacato fascista non ebbe mai molto seguito tra i milanesi, e gli iscritti nell'industria metalmeccanica non superavano il 14%. Questo nonostante la posizione di monopolio ottenuta a seguito dello scioglimento della Confederazione generale del Lavoro e delle Camere del Lavoro avvenuto nel 1925.

L'edificio, che occupa una superficie di circa 2000 metri quadri e si erge attorno a un piazzale sopraelevato sovrastato da una torre centrale, ha subito diverse modifiche nel corso degli anni. I bombardamenti dell’agosto 1943 portarono al crollo quali totale dell’ala sinistra e della cella campanaria, alla distruzione degli interni e al danneggiamento delle sculture di Mario Sironi che adornavano le facciate.

Dovettero passare esattamente vent’anni dalla soppressione per mano fascista, perché la Camera del Lavoro risorgesse e i lavoratori milanesi ritrovassero la loro casa.

Il 23 aprile di 70 anni fa iniziava lo sciopero dei ferrovieri, preludio dell’insurrezione.

La sera del 24 aprile, insorgeva Niguarda

La mattina del 25 si fermarono le fabbriche, i tram tornarono nelle rimesse e i combattimenti si estendevano a tutti i quartieri.

Il 26 Milano era liberata, Riccardo Lombardi era nominato prefetto, Antonio Greppi sindaco di Milano.

Proprio nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1945 i partigiani della sesta brigata (Nello) della divisione Garibaldi attaccarono il palazzo di corso Porta Vittoria 43.

Lo scontro costò la vita a due partigiani ma alla fine il palazzo fu occupato e consegnato al Comitato Sindacale di Milano e provincia, che fino a quel momento era stato clandestino.

L’occupazione ebbe un inevitabile risvolto simbolico che andava oltre la presa di possesso di un edificio fascista, ma acquisiva i connotati di una rivincita del sindacato libero, dopo l’espropriazione del 1925.

Un manifesto, diretto ai lavoratori milanesi, e firmato da Gaetano Invernizzi (PCI), Luigi Morelli (DC), Benigno Marmori (PdA) e Fortunato Saccani (PSI), esponenti del comitato sindacale, così dava l'annuncio della rinascita della Camera del Lavoro:

 

«Il vostro comitato sindacale, che nella dura vigilia ha diretto le battaglie del proletariato contro lo sfruttamento capitalistico e il terrore fascista, ha preso possesso in vostro nome del palazzo dei sindacati per continuare l'opera interrotta della vecchia e gloriosa camera del lavoro».

 

Dopo il 25 aprile Il Comitato sindacale assunse la funzione di Commissione esecutiva provvisoria e invitava i milanesi a stringersi «intorno al comitato di liberazione ubbidendo disciplinatamente ai suoi ordini» a presidiare «le officine per impedire con ogni mezzo che [avvenissero] devastazioni, furti o saccheggi» a occuparsi delle mense «affinché non si [verificassero] sottrazioni o sprechi».

I dirigenti della nuova Camera del Lavoro furono scelti tra gli esponenti che avevano combattuto nella lotta clandestina e che avevano contribuito all'insurrezione armata, erano Giuseppe Alberganti, comunista, affiancato da Luigi Morelli, democristiano, Ferdinando Santi, socialista, presto sostituito da Franco Mariani. Con la sola eccezione di quest’ultimo i nuovi segretari non avevano ricoperto alcun ruolo nella Camera del Lavoro prefascista.

Tra le donne possiamo, inoltre, ricordare le prime responsabili delle commissioni femminili Vera Ciceri, Pina Re, Stella Vecchio e Onorina Brambilla, anch’esse provenienti dalle fila della Resistenza come animatrici dei Gruppi di difesa della donna.

La ricostituzione dell'organismo camerale trovava eco sulle pagine milanesi de «l’Unità» e de «l’Avanti!» e il nuovo segretario Giuseppe Alberganti poteva annunciare dalle frequenze di Radio Milano che:

 

«Dopo oltre 20 anni di sindacalismo fascista, di soppressione delle libertà sindacali, di ritorno in tutte le fabbriche e nei luoghi di lavoro a metodi e forme di sfruttamento schiavista, la nostra Camera del Lavoro, grazie all'eroismo dei lavoratori, riprende la sua attività»[1]

 


[1] Giuseppe Alberganti, discorso alla radio, 7 giugno 1945.

 

pubblicata il 22 Aprile 2015

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